Nel corso delle ricerche svolte all'interno del
progetto, sono stati visitati diversi edifici storici e borghi rurali
giudicati potenzialmente interessanti per eventuali approfondimenti.
Degli edifici indagati sono stati valutati non soltanto le caratteristiche
architettoniche ed i relativi materiali impiegati, ma anche lo stato di
conservazione di tali materiali in opera e la possibilità di
prevedere interventi di restauro, andando a riprendere i "materiali
originali". Di tutti i monumenti ed i siti visitati, È
stata poi fatta una cernita al fine di individuare quali approfondire.
È stato poi redatto un elenco delle cave presenti sul territorio,
attive e dismesse. Le cave sono state visitate dai ricercatori e
dai collaboratori delle varie unità. Tale censimento È
servito per individuare innanzitutto le tecniche di cava e le tecnologie
di abbattimento, nonchè accertare i tipi di lavorazione che i diversi
materiali subiscono. Sono stati fatti perciò confronti tra antichi
metodi di coltivazione e di lavorazione e quelli in uso attualmente.
La nostra Unità ha provveduto a redigere una
scheda tipo per le cave, la quale è stata opportunamente compilata per
tutte le cave (attive e chiuse) presenti nel VCO, in base ai dati messi
a disposizione dalla Provincia del VCO e da una popolazione significativa
di aziende opportunamente selezionate. Tali dati sono inoltre stati
integrati da informazioni aggiuntive, raccolte durante rilievi
geologico-tecnici. Tutte le informazioni, raccolte ed inserite nelle
schede relative alle cave, sono state fornite alla SUPSI che si
occuperà di realizzare il Data Base.
In particolare sono state individuate 5 aree
d'indagine in base ai materiali estratti (fig. 1):
- zona Graniti (Baveno, Montorfano, Mergozzo)
- zona Marmi (Ornavasso, Crevoladossola)
- zona Beole (Vogogna, Beura-Villadossola, Trontano-Domodossola, Crevoladossola-Montecrestese)
- zona Serizzi (Valle Antigorio, Val Formazza, Valle Anzasca e Val Divedro)
- zona "Pietre Verdi" (Val Bognanco, Val Vigezzo, Val Brevettola, Val Loana)
È stato effettuato un censimento delle cave,
inerente la realtà estrattiva del VCO che ha portato alla realizzazione
di una carta tematica di dettaglio (fig.1). L'Università di Torino si è
occupata dei caratteri relativi all'attività estrattiva (tecnologie di
coltivazione, etc..) e delle peculiarità inerenti i diversi materiali.
Una cava in media occupa da 3 a 5 addetti (con 9 cave > 6), sono mediamente presenti 1
derrick, 1 escavatore, 1-2 pale e 5-7 perforatori. Si È ravvisata una crescente
tendenza a possedere una macchina a filo diamantato. La coltivazione delle rocce
silicatiche avviene in prevalenza a mezza costa, mentre le cave di marmo risultano essere
1 a cielo aperto (cava Lorgino Dolomia di Crevoladossola) e due in sotterraneo
(la cava Casino Visconti ad Ornavasso e la cava di marmo di Condoglia).
|
Di seguito verranno forniti alcuni dati
inerenti le coltivazioni dei diversi materiali indagati:
Cave di Serizzo Si ha una produzione
annuale autorizzata totale pari a 700.000 m3, con
uno scarto medio pari al 25%. Mediamente il 35-40% del
coltivato viene impiegato per blocchi da telaio, il 15-20 %
circa in blocchi per fresa, un 20% circa va in blocchi da scogliera.
Una cava occupa in media 5 addetti con una produzione media
di 10-11.000 m3/anno. Il metodo di coltivazione adottato è per
ribassi dalle quote superiori, operando per trance in presenza
di piani di più facile divisibilità che favoriscono il distacco di
volumi rocciosi regolari. Gli aspetti della sicurezza statica
condizionano fortemente le scelte delle tecniche di coltivazione
e la stessa gestione ed organizzazione dei cantieri produttivi,
imponendo talvolta dei consolidamenti e delle protezioni.
L'altezza dei gradoni è mediamente pari a 6-8 m (talvolta si
possono trovare
gradoni alti fino a 10-12 m). Tra le cave indagate, il 50% circa
impiega un sistema misto con miccia detonante e polvere nera;
il 38% circa un sistema misto a miccia detonante e filo diamantato;
il 7% un metodo misto a miccia detonate, filo diamantato e polvere
nera, mentre solo il 5% fa uso della sola miccia detonante.
Si deve preservare il giacimento in fase di sfruttamento, al fine,
da un lato, di ottimizzare la coltivazione anche in vista rinnovi
autorizzativi per la futura estrazione del materiale e, dall'altro,
di ridurre la produzione di sfridi, troppo spesso ancora considerati "non utili" e perciò da smaltire, in idonee discariche di cava.
Cave di Beola Si ha una produzione annuale
autorizzata totale pari a 110.000 m3, con uno scarto medio
pari al 25%-30%. Mediamente il 25-30% del coltivato viene
impiegato per blocchi da telaio, il 20 % circa in blocchi per fresa,
un 20-30% circa va in blocchi da scogliera. Una cava occupa in
media 4 addetti. L'altezza dei gradoni è di regola pari a 6-7 m.
Nella maggior parte dei casi si opera con fasi successive di
riempimento di vecchi piazzali, ed apertura di un canale per
impostare successivamente la coltivazione per ribassi. Il 65%
delle cave adotta l'impiego di miccia detonante e polvere nera,
il 20% circa utilizza un sistema di abbattimento misto con filo
diamantato e miccia detonante, il 10% impiega unicamente il filo
diamantato ed il restante 5% una tecnica di abbattimento mista
con filo diamantato, polvere nera e miccia detonante.
Cave di Granito Si ha una produzione annuale
autorizzata totale pari a 16.000 m3, con uno scarto medio
pari al 20%. Il prodotto utile viene impiegato principalmente per
blocchi da telaio (20%) ed informi da fresa(40%ca); circa un 20%
dell'abbattuto va inoltre in blocchi da scogliera.
Per la coltivazione del materiale, che avviene in prevalenza
con metodo per fette orizzontali discendenti, si utilizza
principalmente un sistema misto filo diamantato+miccia detonante.
L'altezza dei gradoni è mediamente pari a 6 m. Da sottolineare il fatto
che la cava (ex Cava Donna) di Bianco Montorfano utilizza, oltre al
più moderno filo diamantato, la tradizionale tecnica di abbattimento
"a canne d'organo" (perforazione contigua). Molto importante
per la ricerca, ma non approfondito nel dettaglio nel corso della
relazione finale è il ruolo che riveste, soprattutto per uno sviluppo
futuro dell'attività di cava nella zona del Mont'Orfano, l'eventuale
riapertura e valorizzazione delle cave di Verde Mergozzo (si invita
chi potesse essere interessato a visionare quanto riportato per
esteso nella relazione finale della nostra Unità di ricerca).
Cave di Marmo Per ciò che concerne invece le cave
di marmo si è deciso di studiare solo la cava di Dolomia di
Crevoladossola (attiva) ed il comprensorio delle cave storiche di
Ornavasso, la più recente delle quali risulta essere quella di Casino
Visconti (cava in sotterraneo attualmente non in produzione). Si è reputato non opportuno approfondire gli studi sulle cave di Condoglia
in quanto oggetto già di approfonditi studi. La coltivazione delle
cave di marmo a cielo aperto, a Crevoladossola, è impostata per ribassi
successivi con bancate di 6-6.5 m. Lo scavo è eseguito mediante filo
diamantato; le fasi di coltivazione sono precedute dalla realizzazione
di un canalone, mediante l'impiego di esplosivo. Le cave di marmo di
Ornavasso hanno avuto grosso sviluppo in contemporanea a quelle di
Candoglia, per la realizzazione del Duomo di Milano. In questo caso
si ha un impiego quasi integrale della risorsa. Si vendeva anche il
marmo di minore qualità, e gli sfridi venivano frantumati ed impiegati
per la produzione di calce. Alla fine del 1800 le cave vennero chiuse
a causa dell'insufficiente richiesta del materiale, per poi essere
riaperte agli inizi del 1900. La coltivazione della cava Casino
Visconti venne avviata nel 1946 ca, mediante l'apertura di una galleria
rettilinea sul lato Nord (sezione 20 m2). Inizialmente si impiegava
l'esplosivo con ridotto numero di fori; dal 1965 in poi si introdusse
la tecnica di perforazione con "taglio continuo". Il metodo di coltivazione
avvenne così per fette verticali di circa 15 m di spessore, sfruttando, per
l'asportazione, la presenza di giunti trasversali a bassa inclinazione.
La cava prevedeva quattro livelli di coltivazione. Si sta pensando di
rimettere nuovamente in produzione la cava, con un progetto decennale
che prevede una produzione annuale di blocchi da telaio mediamente
pari a 100 m3. I lavori verranno concentrati in 2/3 mesi l'anno,
impiegando una tagliatrice a catena con
locale affiancamento di taglio con filo diamantato. La coltivazione
procederà in parallelo su due gradoni di altezza peri a 3 m ca.
Sono poi state raccolte informazioni inerenti le tipologie di
lavorazione impiegate in passato e quelle utilizzate ai giorni nostri. Per le rocce
silicatiche la segagione delle lastre si mantenne artigianale fino a gran parte del
XIX secolo: verso la metà del secolo, ma solo per i cantieri più progrediti,
si introdusse la sega ad acqua; il filo elicoidale e la lavorazione meccanica avrebbero preso
piede solo alla fine dell'800. Sino ad allora la lavorazione di lastre e masselli, per gradini,
pavimentazioni, stipiti, architravi era compito del mastro cavatore, ma sempre soggetta alla
dislocazione della "vena", che dettava la scelta di dimensioni e forme. Per i materiali carbonatici,
la lavorazione manuale prevedeva che il marmo fosse diviso in pezzi delle dimensioni desiderate,
mediante segagione con seghe sia dentate che prive di denti, seguendo il verso naturale del materiale
che, nel caso del marmo, è definito dai piani in cui si sviluppano le venature. I blocchi
ottenuti venivano in seguito sbozzati mediante l'utilizzo della "subbia" su grandi estensioni, di
uno scalpello su piccole superfici piane, o della "gorbia" su piccole superfici curve. Come ultima
operazione i marmi ricevevano il cosiddetto "pulimento" ottenuto attraverso l'azione abrasiva di
alcune sostanze che ne riducevano le asperità: per "l'arrotondatura" si utilizzavano pezzi
di arenaria, per la "levigatura" la pietra pomice, mentre la "lucidatura" veniva effettuata con
limatura di piombo. Nel Settecento si comincia a sviluppare, in Piemonte in generale e nel bacino
Verbano in particolare, anche la lavorazione meccanica dei marmi. È da sottolineare il ruolo
degli scalpellini che operavano nei laboratori della zona di Verbania e Baveno. A Suna, in
particolare, erano presenti sul lungo lago tutta una serie di piccoli laboratori che lavoravano
sia graniti che marmi. Baveno poi era un polo decisamente importante per la lavorazione dei
materiali del Verbano e dell'Ossola: avevano infatti sede qui parecchi laboratori, già
meccanizzati dall'800, dove venivano eseguite le lavorazioni superficiali dei prodotti che poi
venivano imbarcati e giungevano ai cantieri d'utilizzo via acqua. Nell'800 si ha testimonianza di
una forte emigrazione ed immigrazione di scalpellini da e verso Baveno: si è avuto un fiorente
scambio di mano d'opera tra l'area verbanese e la zona di Viggiù e del Canton Ticino, arrivando
a toccare anche la Francia. Da fine secolo si ha forte emigrazione degli scalpellini verso il Canton
Ticino, l'America del Nord, la Francia e la Germania, a causa di una forte crisi nel settore estrattivo,
dovuta da un lato alle tasse imposte ai cavatori e dall'altro alla maggiore produttività
delle cave aperte nel Ticino.
Ai giorni nostri, gli esercenti le cave spesso posseggono anche un
laboratorio associato che lavora direttamente il materiale estratto, tuttavia esistono
diversi stabilimenti (anche di grande produzione) i quali non sono direttamente correlabili
con le cave locali, ma che, in linea di massima, lavorano materiale locale unitamente a
materiale di diversa provenienza (nazionale e spesso internazionale). I macchinari
utilizzati per la segagione sono principalmente:
- telai a torbida abrasiva;
- tagliblocchi;
- segatrice a disco gigante;
- telai a lame dimantate;
- tagliatrici a filo diamantato (anche nella variet` multifilo);
- frese a ponte
Dalla lastra grezza, ottenuta con taglio a telaio o a disco, si ottengono,
attraverso lavorazioni secondarie, i prodotti finiti. In alcuni casi si vende direttamente il
prodotto solo segato (piano sega), lavato o trattato con acidi. Le lastre segate si presentano
con aspetto differente a seconda dell'attrezzatura di taglio utilizzata: il filo diamantato e
le seghe a disco producono superfici levigate, che possono anche essere subito utilizzate,
mentre la superficie di taglio del telaio, più scabra, necessita sempre di ulteriore
trattamento. Intervenendo sulla finitura della superficie è possibile non solo variare
il colore di base di una roccia, ma anche e soprattutto esaltare le peculiarità di ogni
pietra, evidenziandone l'aspetto nelle condizioni migliori. I trattamenti sulla superficie sono
la levigatura, la lucidatura, la fiammatura, la bocciardatura, il water jet, etc... Dalla fase
della lavorazione superficiale, la lastra passa
alla fase della rifilatura (fresatura). Con questa operazione la lastra viene ridotta in elementi
aventi le dimensioni del progetto. La norma vuole che tra tutte le misure riportate nel casellario
vengano individuate quelle di valore complementare e possibilmente sottomultiplo della lastra
grezza, uniformandosi così a concetti di economia di intervento. Nel caso di manufatti
unidimensionali o per i quali sia possibile impostare delle serie parziali, è
possibile eseguire una rifilatura a "pacchi" (sovrapponendo sul piano della fresa più
lastre). Questo accorgimento rende meno costosa l'operazione di tracciamento e la movimentazione,
tuttavia essa può essere eseguita solo per la rifilatura di lastre sane ed uniformi o dove
non sia richiesta la scelta delle venature. Per grosse forniture a formato unificato, si utilizzano
macchine squadratrici multiple, programmate, che eseguono più tagli contemporaneamente,
servite da complessi sistemi di caricamento ed avanzamento automatici (condizionano a priori
anche il formato dei blocchi da estrarre in cava). A seguito delle lavorazioni superficiali e
della fresatura si può avere un'operazione di bordatura dei manufatti, con macchine in
grado di eseguire lucidatura della costa e/o delle testate, esecuzione degli smussi superiore
ed inferiore, levigatura del risvolto inferiore, esecuzione del battente, esecuzione del
gocciolatoio. Con la rifilatura e l'eventuale bordatura, il manufatto arriva ad assumere
l'aspetto pressochè definitivo, mancando solo alcune finiture particolari come stuccature,
sagomature, ritagli, applicazione di eventuali elementi accessori (listelli, battute, armate),
predisposizione di eventuali elementi di ancoraggio (fori, fresate, tacche, ecc...). Per queste
operazioni ci si avvale del reparto più qualificato del laboratorio; spesso si tratta
di operai specializzati che utilizzano macchine dall'impiego specifico e di attrezzature
leggere da banco.
Le ricerche, condotte sui materiali e sulle potenzialità estrattive
della zona, nonchè lo studio delle tecniche estrattive e di lavorazione, hanno anch'esse
contribuito alla redazione di un disciplinare tipo che porti alla più completa definizione del
marchio di origine dei materiali.
Come precedentemente anticipato, sono stati individuati alcuni edifici
monumentali da inserire all'interno di percorsi geoturistici al fine di valorizzare la
realtà lapidea locale del costruito. In particolare, l'Università di
Torino (DST) ha approfondito lo studio di alcuni monumenti quali:
- Chiesa di S. Giovanni a Montorfano
- Chiesa Parrocchiale di S. Nicola ad Ornavasso
- Borgo di Canova
- Borgo di Roldo
- Borgo di Veglio
Per tali monumenti sono state fornite nel documento informazioni
relative ai materiali impiegati, alla zona di provenienza di tali materiali ed al contesto
storico-architettonico in cui sono state realizzate, fornendo schede di dettaglio che verranno
inserite nel DATA BASE prodotto dalla SUPSI. Non sono invece state eseguite analisi dirette sul
materiale in opera.
Sulla base delle tematiche e delle aree individuate, caratterizzate da
cave storiche ed attive, impianti di trasformazione di moderna concezione e laboratori
artigianali di storica connotazione, edifici e borghi di interesse rilevante, si sono
impostati diversi percorsi geoturistici, atti a meglio valorizzare il patrimonio
lapideo del VCO. Tali percorsi risultano da un'oculata valutazione di possibili
argomenti da sviluppare per la valorizzazione del territorio del Verbano-Cusio-Ossola:
si pensa infatti di inserire quanto studiato per il progetto OSMATER all'interno delle
diverse proposte turistiche di cui il VCO è istituzionalmente promotore.
In particolare si prevedono 6 itinerari distinti (fig. 2):
- Filiera dei Graniti
- Vogogna e le sue pietre
- Le tappe dei Serizzi e delle Beole
- Il percorso dei marmi
- Laugera e Pietre Verdi
- La "via dell'oro" nella Valle Anzasca
|